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Erwin Knoll. «Tutto ciò che leggiamo nei giornali è assolutamente vero, fuorché nel raro caso in cui si tratta di un argomento di cui abbiamo conoscenza diretta».

domenica 17 gennaio 2010

IL FUTURO E’ DEI GIOVANI

E’ capitato a tutti di dire almeno una volta nella propria vita: “da grande voglio fare…”.

I bambini in quel frangente della loro vita cominciano così a sentirsi grandi.

Il lavoro non è solo un posto da occupare ma un ruolo sociale da ricoprire, una personalità da
comunicare, un'identità da confermare. Di fatto lavorare stanca e, di solito, serve a procurarsi un reddito per poter vivere. Ma non si vive bene con un lavoro fatto solo per... vivere.

Serve altro. Bisogna rendere il posto a misura “nostra” quasi fosse un abito da indossare. Ma cosa ci gratifica? E come facciamo a vivere bene? Evidentemente fondamentale è considerare il lavoro un impegno in cui noi crediamo. Non solo. Serve una buona dose di motivazione per esempio, ma anche professionalità, empatia con le persone e voglia di contribuire in modo attivo a quanto ci è stato affidato.

La recessione degli ultimi anni ha colpito duro. E ha colpito i più deboli. I lavoratori poco qualificati e soprattutto i giovani.

E’ pur vero che le aziende ultimamente hanno cominciato a cercare personale. Ma lo vogliono qualificato, che non sempre trovano anche perché “come si fa ad essere qualificati appena usciti da scuola?”.

C’è infatti divergenza tra le esigenze aziendali e la preparazione scolastica. Ma questo non è un problema. Importante aprire le menti alla conoscenza degli alunni. E’ la stessa azienda che plasma le figure secondo le diverse esigenze. In questo senso vengono anche tagliati i “posti” per esigenze di redditività aziendale, causa crisi. Il passo è breve per capire che poi sono gli stessi giovani ad essere lasciati a “casa”.

Quanto detto viene confermato da quanto dice Giuseppe De Rita, nel Rapporto Censis 2009, che i giovani “sono oggi più formati, più tecnologizzati, più aperti ad esperienze internazionali e dovrebbero costituire il punto di forza su cui poter fare leva per una ripresa. E invece che - succede? Sono stati sottoccupati, tenuti a bagnomaria in una situazione di precarietà strisciante che non approda a nessun obiettivo e poi, appena avvertita la crisi, sono stati i primi a essere espulsi dal mondo del lavoro”.

La classe politica ultimamente ha fatto leva sul fatto che in tema di disoccupazione l’Italia fa meglio dell’Unione Europea. E’ come dire che un disoccupato deve rallegrarsi se è senza lavoro perché qualcuno in Europa sta peggio di lui… Ma come si fa a dire questo? Ma il futuro non sarà dei giovani?

MG

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